Michele Bartoli, 50 anni da fuoriclasse del pedale: "Rimpianti? Aver disputato la Roubaix una sola volta"

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Michele Bartoli, 50 anni da fuoriclasse del pedale: "Rimpianti? Aver disputato la Roubaix una sola volta"

Lo scorso 27 maggio, il campione pisano ha festeggiato un compleanno speciale. Ora prepara i ragazzi del presente e del futuro.

E' stato uno degli specialisti da classiche più forti nella storia del ciclismo italiano e, probabilmente, senza quel drammatico incidente al ginocchio, nel corso di una tappa del Giro di Germania 1999, il numero di cinque “monumento” sarebbe stato ben più elevato.

Michele Bartoli ha compiuto 50 anni e il mezzo secolo di vita del fuoriclasse toscano è stato celebrato in vari modi, da tifosi, addetti ai lavori e media che ancora lo ricordano con grande affetto, a 15 anni dal ritiro maturato all'inizio della stagione 2005. D'altronde, parliamo di una stella capace di vincere Fiandre ('96) e Liegi (doppietta '97 e '98), ovvero due classiche così distanti che dicono tutto dell'infinita classe di un vero esteta della bicicletta, oltre ai due Lombardia nella seconda parte di una carriera spezzata a metà, come quella rotula che andò in frantumi sulle strade tedesche.

E poi ancora Amstel Gold Race, Freccia Vallone, due Coppe del Mondo, tappa e maglia rosa vestita al Giro d'Italia, il Campionato Italiano della rinascita, nell'estate del 2000 a Trieste, e quei due bronzi ai campionati del mondo che fanno male, visto che sia a Lugano '96 che a Valkenburg '98 era parso il più forte di tutti, ma venne beffato da Museeuw e Camenzind per diversi motivi. “Sì, quella maglia mi è mancata – ha confessato nei giorni scorsi – L'unico momento di invidia l'ho vissuto quando Valverde ha coronato a 38 anni il suo sogno iridato, nel 2018 a Innsbruck. Non mi era mai capitato di provare questo sentimento”.

Ora Bartoli è un affermato preparatore di tanti corridori di alto livello, in particolare ha lavorato con Egan Bernal nei primi anni da professionista di colui che lo scorso anno ha vinto il Tour de France da giovanissimo, e ora segue un altro campionissimo colombiano come Nairo Quintana. “Un lavoro che mi piace molto e mi assorbe completamente, anche per questo non mi vedo con un ruolo in ammiraglia. Certo, se mi chiedessero di fare il commissario tecnico della nazionale non sarebbe male, ma vorrei evitare ogni tipo di conflitto d'interessi”.

Amico fraterno di Alessandro Petacchi, un altro campione indimenticato degli anni 2000, il “leoncino” ricorda di aver scoperto che Ale Jet sarebbe diventato un fuoriclasse delle volate durante in ritiro alle Canarie (“lui non si rendeva conto delle sue potenzialità, eppure io avevo corso con Cipollini e mi resi subito conto che avrebbe potuto battere anche Mario”), e la Liegi 1997 come un ricordo particolarmente speciale, avendo rotto nel finale la tenaglia Once con la coppia Zulle-Jalabert stroncata dal numero del pisano. “In qualche modo mancai di rispetto ad un campione come Jaja, salutandolo prima di tagliare il traguardo, ma si era creata una situazione strana tra la vigilia e in gara. E il buon Giancarlo Ferretti me lo fece notare subito...”.

L'unico vero rimpianto della carriera, però, riguarda la Parigi-Roubaix: “Non la disputai fino al 2004, per salvaguardare il mio calendario con tutte le altre classiche, ma all'unica partecipazione capii che era fatta per me. Forai quando ormai eravamo rimasti in cinque davanti, sul Carrefour de l'Arbre. Io aspettavo che qualcuno attaccasse, ma in realtà erano già a tutta e io stavo benissimo. Avessi avuto altre opportunità per giocarmela, ci saremmo divertiti...”.

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